Fondato e diretto, nel 2003, da Ninni Raimondi 
      
Il Trattato di Alaksandu: il mito di Troia rivive in un antico documento in lingua ittita? 
di Ninni Raimondi
 
Il Trattato di Alaksandu: il mito di Troia rivive in un antico documento in lingua ittita? 
 
Le aspre battaglie sulla piana di Troia narrate da Omero hanno plasmato l’immaginario collettivo degli europei per millenni di storia. Tutti noi abbiamo letto o sentito raccontare almeno una volta dell’ira del forte Achille, della furia di Diomede o della devota fedeltà di Ettore e ci siamo crogiolati nei viaggi dell’astuto Ulisse per tornare in patria dopo oltre dieci anni di guerra. Tanto è importante nel nostro retaggio culturale la guerra di Troia che per secoli, storici e studiosi, si sono affannati a ricercarne la veridicità storica nei documenti o, come il grande Heinrich Schliemann, con fortunate intuizioni archeologiche. 
 
Il Trattato di Alaksandu  
Effettivamente alcuni indizi su questo evento, che si rivelò decisamente epocale per gli antichi progenitori della nostra civiltà, sono col tempo emersi per dare un supporto materiale ai sogni degli appassionati, fino ad allora relegati nel mito. È il caso del “Trattato di Alaksandu”, un’iscrizione in lingua ittita giunta fino a noi in buono stato che descrive appunto un accordo di amicizia ed alleanza tra il re di Wilusa, Alaksandu, e l’imperatore ittita Muwatalli II. Nel trattato, redatto appunto dagli scribi di Muwatalli, il sovrano ittita fa riferimenti all’antica amicizia tra Wilusa e Hattuša (la capitale ittita) e alla recente distruzione della città anatolica che, grazie al sostegno ittita, era stata riconquistata e posta di nuovo sotto l’autorità del giovane sovrano Alaksandu, scampato alla sconfitta del suo regno. 
Il fatto che questo documento sia datato all’incirca alla fine del XIII secolo a.C. e che faccia riferimento alla distruzione della città di Wilusa da parte di bande di Ahhiyawa (il termine ittita per indicare gli achei), ha portato molti studiosi ad identificarlo come l’attestazione storica della famosa guerra cantata da Omero per una serie di motivi. Il nome Wilusa, sia per la posizione geografica dell’antica città, sia per assonanza, è associato ad Ilio, appunto l’antica Troia; inoltre Alaksandu, il nome del sovrano reinsediato sul trono dopo la distruzione ad opera degli achei, suona molto simile ad Alessandro, il vero nome del principe Paride. 
 
Discrepanze con il mito di Troia 
Alcuni elementi però, a mio parere, non tornano con questa interpretazione. Fermo restando che questo articolo non ha alcuna pretesa di veridicità storica, dal momento che le fonti giunte fino a noi sono veramente poche e troppo circostanziali per tracciare a linee nette la storia della “Guerra di Troia”, il trattato di Alaksandu ha  troppe discrepanze con il mito che Omero ci ha trasmesso. 
Innanzitutto, la distruzione di Wilusa è imputata ad un leader di combattenti dal nome di Piyama-Radu; questi compare in diverse altre fonti tra i sovrani anatolici della costa occidentale ed è descritto più come un brigante e un ribelle alla sovranità ittita che come un grande re di una coalizione achea come appunto dovrebbe essere la figura di Agamennone. Piyama-Radu inoltre ci viene descritto come il leader di un contingente acheo, ma non di certo come un sovrano di qualche città, piuttosto come un avventuriero, forse un mercenario al servizio degli stessi sovrani Ahhiyawa. Anche il fatto che il giovane Alaksandu venga rimesso sul trono dopo la riconquista di “Ilio” non coincide con la versione dell’Iliade, dal momento che Paride cade ucciso durante la guerra e soprattutto che l’intera genia di Priamo si estingue o viene resa schiava dai sovrani achei. Insomma, se il trattato di Alaksandu fa riferimento alla caduta di Troia, com’è probabile, quasi certamente non si riferisce allo stesso assedio cantato da Omero. 
 
L’altro assedio 
Ma di cosa parla allora questo antico documento? È ancora una volta la mitologia a venirci incontro perché i grandi sovrani achei, Ulisse, Achille, Aiace, non furono i soli famosi greci a scontrarsi e ad espugnare la rocca di Troia, ma prima di loro questa fu distrutta anche dal grande Eracle e da uno sparuto gruppo di forti seguaci ed amici guerrieri. Secondo il mito, l’eroe più famoso dell’antica Grecia, salvò la figlia di Laomedonte, infido sovrano di Troia, da un tremendo sacrificio reclamato dall’ira degli Dei. In cambio del salvataggio, Eracle aveva reclamato i divini cavalli del sovrano, ma Laomedonte non mantenne la parola data e cacciò l’eroe in malo modo dopo che la figlia Esione fu messa in salvo. Solo il giovane principe Priamo, figlio del re troiano, prese parola in difesa dell’onorevole ospite ma venne zittito ben presto. 
Tempo dopo, Eracle tornò sotto le mura di Troia, non più come amico ed ospite, ma come selvaggio conquistatore alla guida di un piccolo esercito di valenti eroi achei, tra cui si annovera anche Telamone (il padre dell’Aiace cantato da Omero).  Troia cadde ben presto sotto la furia vendicativa di Eracle che uccise Laomedonte e tutti i suoi figli maschi tranne appunto il giovane Priamo, che venne risparmiato per le parole gentili che in passato aveva riservato al greco. 
 
Analogie con il Trattato 
Cominciato a vedere qualche analogia con il trattato di Alaksandu? Il giovane Priamo che, ultimo rimasto di una stirpe di sovrani, viene accolto sotto la protezione dei più forti sovrani ittiti e reinsediato sul trono, sembra corrispondere decisamente alla figura di Alaksandu ed alle sue vicessitudini; anche la modalità della guerra del mito di Eracle è molto simile a quella riportata dai documenti che parlano di questa vicenda, dal momento che lo scontro è veloce e non coinvolge enormi armate e possenti alleati da entrambe le parti come nel caso della spedizione di Agamennone. C’è poi proprio il caso di Piyama-Radu. Questi non è un grande re, ma un guerriero itinerante, un acheo (forse, o comunque ad essi legato) che passa la maggiorparte del suo tempo nelle terre d’Anatolia e non a regnare su qualche città micenea. La vita di Piyama-Radu è la guerra, lo scontro, l’avventura, proprio come la vita di Ercole! Egli è una spina nel fianco per i sovrani dell’Anatolia e per i potenti ittiti proprio perchè non rappresenta alcun potere istituzionalizzato, ma solo sè stesso e, al limite, il suo piccolo contingente di guerrieri spietati e guasconi (proprio come gli eroi che accompagnano Eracle a compiere la sue vendetta ci vengono descritti). 
 
Il significato dei miti 
Insomma, se Piyama-Radu deve corrispondere ad un condottiero greco, perché dovrebbe essere Agamennone e non invece il molto più simile Eracle? Il trattato di Alaksandu sembra volerci comunicare assolutamente qualcosa. Sembra gridare a tutti noi che i miti, che gli aedi cantavano nelle sale dei sovrani d’Europa già millenni fa, sono in realtà una vera storia dei nostri antenati tramandata per generazioni in via orale. Sembra dirci che Eracle non fu solo una bella figura creata per educare i bambini, ma un valente condottiero che condusse centinaia di uomini alla guerra e all’avventura; sembra dirci che Troia non fu solo la felice intuizione di un bardo di stirpe greca. Avremo mai la certezza di poter trovare nelle vicende di Alaksandu e di Piyama-Radu la corrispondenza con la storia di Priamo ed Eracle?  
 
Probabilmente no, ma in fondo quanto è bello sognare? 
19 Luglio 2023